domenica 27 aprile 2008

Una visita sul Monte Baldo




Dal Mediterraneo alle Alpi in pochi metri.

È un vero e proprio regno di specie uniche.



Il Monte Baldo, che come tutte le Prealpi ha una storia antica, è un vero e proprio regno di specie uniche. Sono almeno trenta quelle catalogate finora e tenute sempre sotto stretta osservazione, tra cui farfalle (lepidotteri), cavallette, millepiedi e coleotteri.
Nel corso dei millenni questo monte è passato attraverso diverse fasi geologiche e climatiche, fasi glaciali e interglaciali, cioè periodi molto freddi e periodi caldi, che ne hanno influenzato e modellato l’ambiente, rendendolo unico proprio per la varietà che lo distingue.
In poche centinaia di metri di altitudine si passa infatti da un ambiente di tipo mediterraneo ad un ambiente di tipo alpino sulle vette, passando così da oliveti a boschi di faggi e conifere. Ne deriva altrettanta varietà nella fauna che lo popola che è tanto più caratteristica perché endemica, cioè fatta di specie animali che vivono solo su questa montagna e non si trovano in alcun altro luogo. Sono tutti catalogati e schedati al Museo civico di storia naturale di Verona, dove molti di essi sono anche esposti e quindi visibili al pubblico.
“Durante le ultime glaciazioni, facciamo quindi riferimento particolare all’ultima avvenuta nel Quaternario circa 10-15mila anni fa, il Baldo è rimasto isolato, proprio come un’isola incastrata tra i ghiacciai del Garda e della Valdadige”, semplifica Leonardo Latella, conservatore zoologo al Museo Civico.
“Circondati dai ghiacciai, gli animali che vi abitavano non hanno più avuto contatti con quelli della Lessinia e del Trentino, ma hanno continuato a riprodursi adattandosi alle diverse temperature divenendo quindi specie a tutti gli effetti differenti. Alcuni sono sopravvissuti e hanno trovato rifugio nelle grotte, ambiente che nei periodi di alternanza climatica offrono un rifugio idoneo in quanto più caldi, altri sono rimasti all’esterno e hanno però dovuto adattarsi ai mutamenti del clima. In base alle ricerche effettuate sinora al nostro museo, che sono iniziate negli anni Sessanta e che continuamente approfondiamo, le specie endemiche sono circa trenta. Ci sono lepidotteri, tra cui in particolare due farfalle, la Glacies baldensis, che vive solo sul Monte Baldo, e la Erebia pluto burmanni, dal nome del lepidotterologo austriaco di Insbruck, Burmann, che, come molti entomologi, si appassionò alla fauna del Baldo. Fu lui a scoprire questa nuova entità che vive a quote elevate, tra i 2000 e 2500 metri di quota, tra i ghiaioni più impervi”.
Poi ci sono vari coleotteri: “Una quindicina di piccoli insetti che vivono sul suolo o sotto i sassi nelle zone più elevate del Baldo”. E le cavallette “che, pur abitando ad alta quota, dove sono rimaste isolate nel periodo glaciale, amano stare nei prati soleggiati. Tra di esse sono specie rare come la Pseudoprumna baldensis e la Chorthopodisma cobelli”.
Quindi ecco i tanti animali cavernicoli, che “come tutte le specie che stanno in grotta, sono generalmente ciechi e depigmentati con antenne e zampe allungate che permettono loro di percepire l’ambiente circostante che non vedono. Tra questi c’è il lepidottero predatore, Orotrechus vicentinus martinelii che si trova in alcune grotte del Baldo, come la Tanella a Torri del Benàco. Poi ci sono coleotteri che si nutrono di sostanze organiche in decomposizione, come la Boldoria baldensis, la quali si ciba di resti animali e vegetali. Infine i millepiedi, come la Osellasoma caoduròi, che è un’altra specie probabilmente endemica segnalata altrove una sola volta, in un’unica località del bergamasco. Anch’essa è legata ad ambienti freddi, glaciali, e, sempre per sopravivere ai mutamenti della temperatura trovò rifugio in grotta”.
Sembra strano un simile interesse per questo piccolo mondo antichissimo, ma ha un senso. Il senso della ricerca, che in questo caso tenta di capire il senso della vita, anzi della biodiversità, che sul Baldo sembra essere veramente di casa. (b.b.)

mercoledì 23 aprile 2008

Artrosi: pensiamoci



LA CONDIZIONE DEL NOSTRO SCHELETRO SI PUÒ SALVAGUARDARE

Attenzione a soprappeso e posture “pericolose”

Tra le patologie più diffuse nella terza età c’è artrosi, una malattia articolare che si manifesta già prima e secondo recenti studi colpisce il 70% delle donne e il 60% degli uomini over sessanta. L’artrosi è un disturbo della cartilagine delle articolazioni ed è la conseguenza o di un carico eccessivo su uno degli arti o della debolezza delle ossa. Il carico anormale può essere dovuto a diversi fattori come ad esempio l’obesità, o anche ad una cattiva impostazione del corpo: l’80% dei casi di artrosi dell’anca si verifica in persone che avevano una sublussazione della stessa. Anche chi subisce traumi o chi è soggetto a carenze di calcio è predisposto all’insorgere di questa patologia: chi subisce una frattura del malleolo sarà soggetto a problemi all’anca, mentre chi ha avuto danni al menisco è più esposto all’artrosi del ginocchio. Anche chi durante le ore lavorative assume posture particolari come ad esempio inginocchiarsi o accovacciarsi, rischia di incorrere in problemi di artrosi: lo stesso uso del computer può causare traumi ripetuti alle articolazioni di polso e spalla se si utilizza spesso il mouse.

Da “L’Arena” il giornale di Verona

sabato 19 aprile 2008

Tiro con l'arco - Regole dello sport


Regole dello Sport

I TIRI

Ogni arciere tira 3 frecce in un tempo massimo di 2 minuti sul proprio bersaglio, bersaglio che viene assegnato all’atto dell’iscrizione dalla società organizzatrice.
I supporti sui quali vengono posti i bersagli, detti anche paglioni battifreccia, portano 4 bersagli, perciò su ogni paglione tirano complessivamente 4 arcieri (2 per volta).
Si tirano complessivamente 20 volée di tre frecce per un totale di 60 frecce.
I tempi di tiro e organizzazione delle fasi della gara sono regolati da semafori e da segnali acustici, comandati da un direttore dei tiri abilitato dalla federazione.

I PUNTI
I punteggi che i bravi tiratori riescono ad ottenere sono intorno ai 585/598 punti su 600.
Per l’assegnazione dei punti, qualora la freccia tocchi anche con la tangente la striscia che delimita 2 punteggi, viene assegnato il punto più alto.
Un arbitro sovrintende a tutta l’organizzazione e viene chiamato in causa direttamente dagli arcieri stessi qualora esista un dubbio, circa il punteggio da assegnare ad una freccia.

GARE FITA
Si tirano 6 volée di 6 frecce, per un totale di 36 frecce per ogni distanza di tiro.
Le distanze sono:
Per gli uomini: 90, 70, 50, 30 metri.
Per le donne: 70, 60, 50, 30 metri.
Per un totale di 144 frecce.
I bersagli sono da 120 cm. Per le 2 distanze lunghe, e da 80 cm. Per quelle corte (50 e 30 mt.).
Il punteggio 10 è rispettivamente di 12 e di 8 cm..
Il tempo a disposizione per tirare le 6 frecce è di 4 minuti.
Alle distanze di 50 e 30 metri si tirano 12 volée di 3 frecce in 2 minuti.
Il bersaglio è unico per tutti e 4 i tiratori, e si posizionano sulla linea di tiro con turni prestabiliti a 2 a 2 per volta. Le frecce devono essere quindi ben riconoscibili e contrassegnate per ogni singolo arciere.
I punteggi ottenibili da un buon atleta sono di 1270 – 1350 su 1440 per l’arco olimpico, mentre per i tiratori con arco Compound possono arrivare anche intorno ai 1380 punti.

GARE 70 METRI OLIMPIC ROUND
La gara si svolge con 36 + 36 frecce ad un’unica distanza di 70 metri con bersagli da 120 cm..
Al termine delle 72 frecce si realizza una griglia fra i primi 36 atleti, che si dovranno affrontare con scontri ad eliminazione diretta.
Le categorie maschili e femminili restano in ogni caso separate, come restano con classifiche separate i tiratori di arco Olimpico e di Compound.
Si tirano 3 volée di 6 frecce (18 tiri).
Il 1° classificato si scontrerà con il 36°, il 2° con il 35° e così via.
Chi vince passa il turno.
Alla fine si svolgono le finalissime per i 3 posti.

GARE HUNTER FIELD (Caccia – Campagna)
Si svolgono su percorsi di campagna, nei boschi, e le distanze dei bersagli sono sconosciute.
I bersagli sono sempre concentrici ma sono di colore bianco e nero (massimo punteggi al centro 5 punti).
Il percorso è ad anello di solito di 5 o 6 Km: caratterizzato da 12 piazzole di tiro sulle quali si posizionano 12 pattuglie composte di 4 arcieri.
La gara si svolge in 2 tempi.
Nella 1° parte
Ad un segnale prestabilito tutti gli arcieri, a turno tirano sui bersagli che hanno di fronte; al termine dei tiri, dopo aver segnato il punteggio su un’apposita cartella si portano sulla piazzola successiva. Al termine della gara tutte le pattuglie avranno fatto il giro completo.
Si tirano 3 frecce e i bersagli, oltre che ad essere posti a distanze sconosciute non sono mai in piano, ma su pendii, in fondo a valloni, etc., perciò l’atleta, prima di tirare, deve valutare bene tutte le traiettorie e le parabole fuori piano.
Nella 2° parte
Gli arcieri dovranno ripetere il giro, però questa volta le distanze sono dichiarate, ma le pendenze sono ancora più accentuate.
In totale vengono tirate 36 + 36 frecce.
I punteggi che vengono ottenuti a livello mondiale dipendono dalle difficoltà ambientali però possono arrivare a 671 punti su 720 (doppio H-F-).
Punteggio ottenuto dall’Italiano Michele Frangilli, campione del mondo a Cortina nel 2000.

GARE SKI ARC
È in sostanza una gara di Biatlhon, cioè sci di fondo accoppiato al tiro con l’arco.
La gara si svolge su un anello di 5-6 Km da ripetere per 3 volte.
Ad ogni giro si passa davanti al poligono di tiro dove ogni atleta ha a disposizione 5 bersagli da far cadere con 5 frecce a disposizione.
Ad ogni errore di tiro si dovrà compiere un giro supplementare su un anello di qualche centinaio di metri.
Vince chi percorre i tre giri in minor tempo.
I bersagli sono a caduta, sono posti a 20 metri ed hanno un diametro di circa 20 cm.
L’arco fa parte del corredo del fondista perciò è costretto a portarlo per tutta la durata della gara in un’apposita faretra posta sul dorso.
Per ragioni di sicurezza, le frecce, invece, vengono lasciate presso la piazzola di tiro.
Le gare possono essere per singoli atleti ma anche per staffette composte di 3 fondisti.

C’È ANCHE LA FIARC
Esiste anche un’altra federazione la FIARC, affiliata alla Federcaccia, che organizza gare di tipo diverso, come i percorsi di campagna, utilizzando o sagome di animali tridimensionali o targhe a punteggio, con disegni di animali.
Per quanto riguarda gli archi, la Fiarc di solito usa archi costruiti dagli stessi arcieri, di tipo storico e senza mirino e stabilizzazione.
COS’È

La Cocca: è la fessura che serve per inserire la freccia nell’arco.
La Dragona: è la maniglia di cuoio che serve per tenere l’arco dopo che è stato scoccato il tiro.
La Faretra: è il contenitore delle frecce.
Il Fast: letteralmente è l’abbreviazione di “Stand fast”, ed è l’ordine impartito agli arcieri per farli smettere di tirare.
I Limbs: parti esterne dell’arco.
Il Fusto: è il corpo della freccia compreso tra la punta e la cocca.
La Gittata: è la capacità di lancio di un arco.
Il Libraggio: è lo sforzo richiesto, espresso in libbre, per lanciare la freccia ad una certa distanza prestabilita.
Il Mirino: è lo strumento disposto sopra il fermafreccia che permette di puntare il bersaglio.
La Nappa: è il panno utilizzato per ripulire le frecce infangate: solitamente ha i colori sociali del club d’appartenenza.
Il Paglione: è la paglia pressata su cui viene steso la tela del bersaglio.
Il Parabraccio: è un rinforzo indossato sull’avambraccio che serve per proteggere il braccio dalla corda ed a impedire gli indumenti deviino la corda.
Il Paradita: pezzo di cuoio protettivo appoggiato sulle dita che tendono la corda.
La Penna della cocca: è la penna messa ad angolo retto con la cocca.
Le Alette: permettono alla freccia un volo rettilineo: possono essere tre o quattro.
La Punta: è la parte terminale della freccia.
Il Riser: è l’impugnatura dell’arco.
Lo Scoccare: è il momento immediatamente dopo avere teso la corda, cioè quando si lascia partire la freccia.
Gli Stabilizzatori: sono pesi aggiunti all’arco per renderlo maggiormente stabile.
Il Tiro clout: è un tiro il cui bersaglio da raggiungere è segnato sul terreno da un telo od una bandierina.
Il Tiro flight: l’obiettivo di questo tiro è il tirare la freccia il più lontano possibile.
Il Tiro popinjay: è una pratica soprattutto europea. Questa specialità utilizza frecce spuntate che vengono lanciate per sloggiare gli “uccelli di legno” da loro trespolo appoggiato su palo alto 25,9 metri.

venerdì 18 aprile 2008

Tiro con l'arco - La storia


TIRO CON L’ARCO

LA STORIA
Anche la storia dell’arco si accompagna con quella dell’uomo. Risalgono, infatti, ad oltre 8000 anni fa i primi graffiti che riproducono scene di caccia.
È indubbio che l’arco fu fondamentale per la sua sopravvivenza, sia per la caccia, che come mezzo di difesa.
Tra i popoli della storia, gli Egiziani sono stati i primi famosi arcieri della storia adottando l’arco come principale arma da guerra.
Gli archi Egizi erano leggermente più corti della statura di un uomo, erano fatti di legno e cuoio, spesso finemente cesellati e dipinti.
Le frecce, ricavate da sottili bastoncini di legno, avevano una punta di bronzo, in alcuni casi, specie nel periodo più antico, sono state ritrovate punte in selce finemente lavorate.
È possibile ammirare una ricchissima collezione di questi archi, nel famoso tesoro di Tutankamon, conservato nel museo del Cairo.
Nello stesso periodo storico, altre popolazioni mediorientali diedero il loro contributo al tiro con l’arco e, mentre gli Assiri e i Cretesi diventavano una nazione d’arcieri, sviluppando materiali e tecniche di tiro, i Greci ed i Romani, furono piuttosto indifferenti all’arco come arma da guerra, perciò spesso assoldavano arcieri Cretesi ed asiatici per le loro legioni.
L’indifferenza dei Romani cambiò quando le loro legioni furono distrutte a Adrianopoli nel 378 e solo dopo questa sconfitta l’esercito dell’impero si avvalse sempre di un notevole numero d’arcieri a cavallo.
Tra tutti gli arcieri storicamente più espressivi dell’estremo oriente, Attila re degli Unni, e Gengis Khan sono probabilmente i più noti.
Passarono i secoli e l’arco, e come facilmente comprensibile conobbe dei mutamenti tecnici, uno dei quali fu l’utilizzo dei tendini degli animali perché insensibili all’umidità, che ne migliorò inoltre le prestazioni.
Ma l’arco moderno deve la sua celebrità anche grazie alle gesta di Robin Hood o di Guglielmo Tell, l’uomo capace di spaccare in due la mela posta sul capo del proprio figlio nella città di Schwitz.
Poi, con l’introduzione delle armi da fuoco, intorno al 1300, iniziò il suo declino come arma da guerra.
Nel 1828 per opera di alcuni appassionati fu fondato il 1° club degli Stati Uniti, gli “Arcieri uniti di Filadelfia”.
Nel 1879 nasce a Chicago L’Associazione Nazionale di Tiro con l’Arco (NAA).
La storia dell’arciera moderna comincia con le seconde olimpiadi di Parigi nel 1900, a S. Louis nel 1904, a Londra 1908, e ad Anvera nel 1920, dopo questa data il tiro con l’arco rimase per 52 anni assenti e fu ripresentato nel ’72 a Monaco.
In Italia fu durante il Fascismo che l’arco fu scelto fra le discipline sportive, divenendo una specialità quasi esclusivamente ad appannaggio delle Giovani Italiane.
LE GARE

Nelle gare si tiene conto di classi e divisioni di appartenenza perciò ci sono classifiche divrse.
Quando però si arriva alle finali dell’Olimpica Round o del Campionato Assoluto, si tiene conto solo del tipo di arco usato e del sesso di appartenenza.
È possibile quindi trovare scontri diretti fra uno Juniores ed un Senior o Master.
I tipi di gare riconosciuti sono cinque:
§ Gare indoor
§ Gare Fita (Federazione Internazionale Tiro con l’Arco)
§ Gare 70 metri Olimpic Round
§ Gare Hunter - Field
§ Gare Ski – Arc

Nel 1961 nasce la Federazione Italiana di tiro con l’arco FITARCO, affiliata al CONI.

venerdì 11 aprile 2008

Quadrato magico


Quadrato Magico: Rotas Opera Tenet Arepo Sator, svelato l'enigma del Quadrato Magico. Egitto, Roma Imperiale, Crociate, Templari... Un interessante ed originale ricerca che mette in discussione la teoria evoluzionistica di Darwin.Il Quadrato Magico, questo è il nome con cui è conosciuto, è un palindromo formato da cinque parole di cinque lettere che possono essere lette indifferentemente nelle quattro direzioni dei lati del quadrato stesso.Questa formula (Rotas Opera Tenet Arepo Sator) era molto diffusa nelle località dell'Impero Romano, probabilmente propagandata anche per mezzo dei legionari di guarnigione. Nel 1937 fu ritrovata cinque volte in Mesopotamia e se ne hanno esempi in Egitto, in Cappadocia, in Britannia e in Ungheria. Per esempi più recenti, cioè non appartenenti all'epoca dell'Impero Romano, occorre fare riferimento al Medioevo e in particolar modo alle costruzioni sacre che sono attribuite all'Ordine dei Monaci Templari e a quelle in qualche modo con loro collegabili.Gli esempi più antichi e facilmente databili, almeno per quanto concerne il periodo, sono quelli ritrovati a Pompei che come noto fu sepolta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e che quindi devono appartenere sicuramente a un periodo anteriore all'eruzione. Le due testimonianze pompeiane, delle quali rimane soltanto una riproduzione grafica di quella ritrovata su una colonna della Grande Palestra, sono state determinanti per lo svolgimento di questa ricerca che senza le informazioni da esse apprese sicuramente non avrebbe avuto quelle fondamenta che servono a reggere duemila anni di storia. L'altro esempio di "Quadrato Magico", che chiameremo d'ora in poi "Sator", ritrovato sempre durante gli scavi archeologici condotti tra il 1925 e il 1936, queste sono le date in cui lo studioso Della Corte trovò i due palindromi, era nella casa di Paquio Proculo, duumviro intorno al 74 d.C..Dando una lettura particolare dell'enigma, prendendo come punto di partenza e di riferimento Pompei, ho compiuto un viaggio attraverso la storia, la mitologia e le credenze delle antiche civiltà. Ho proseguito poi attraverso il Medioevo fino ad arrivare ai giorni nostri, dove la scienza, forse, potrebbe dare conferma ad una storia che ha dell'incredibile e dello straordinario allo stesso tempo.
Sarà una vera discussione fatta soprattutto di domande, alle quali si cercherà di dare una risposta. L'interpretazione da me data al "Sator" vuol essere quel tassello mancante che fa risultare inspiegabili e incomprensibili credenze ed usanze dell'antichità e non solo.Sarà molto interessante scoprire come questa formula sia molto diffusa. L'Europa, soprattutto l'Italia e la Francia, ha numerosissimi esempi che è possibile trovare nell'originale formula disposta a quadrato, oppure sotto forma di un testo classico o a comporre un cerchio. Per la soluzione da me data occorrerà fare riferimento alla disposizione classica, ossia quella quadrata.Ho dedicato un particolare interesse alle credenze religiose delle antiche civiltà interpretando, sempre in modo soggettivo ed originale, alcune opere d'arte. Molto interessanti sono alcuni dipinti pompeiani che ho collegato con le rappresentazioni presenti sui soffitti delle tombe dei grandi faraoni.Le grandi costruzioni delle cattedrali, attribuite al periodo delle Crociate e quindi dei Templari, troveranno anch'esse un interessante riferimento con l'Antico Egitto, fino ad arrivare alla Piana di Giza.La Certosa di Trisulti poi, con gli enigmatici dipinti del pittore napoletano Filippo Balbi, sarà come piace definirla a me una sorta di prova del "nove" di quanto emerso dal "Sator".
LA SOLUZIONE DELL'ENIGMA
A Pompei prima dell'eruzione del 79 d. C. si parlava e si scriveva un latino volgare, fondamenta delle lingue romanze.Per arrivare alla soluzione dell'enigma che racchiude il "Sator" è a questa lingua che bisogna fare riferimento. Ad essa appartiene l'indicazione della chiave di lettura, ad essa appartengono alcune parole della soluzione stessa.Il latino volgare non era soltanto la lingua parlata dagli strati più bassi della popolazione ma la lingua parlata da tutti con sfumature a seconda della provenienza e della classe sociale di appartenenza.Come abbiamo visto l'esempio di "Sator" trovato a Pompei ha posto al di sopra dello stesso un Triangolo e al di sotto la scritta "ANO". Sono questa figura geometrica e questa corta parola la chiave per "scardinare" il segreto nascosto nel "Sator".La parola "ANO" significa anello (dal latino classico ANUS, ANUM), l'anello da prendere in considerazione è l'anello che contiene il triangolo.A questa figura corrisponde l'anello per antonomasia, l'Anello Sigillo di Salomone che ricevette da suo padre Davide e dal quale deriva il nome del simbolo che si ottiene con l'unione di due triangoli: la Stella di Davide o Esagramma.E' questa la chiave che indica la strada e il percorso di lettura che occorre compiere attraverso le lettere contenute nell'enigma.Sovrapponendo la stella al "Sator" ci si accorge di come queste due figure siano complementari:


Da: eliogalasso.it

domenica 6 aprile 2008

Prime foto del Grand Canyon di Marte


Esplorazione spaziale
L'Esa fotografa il "Grand Canyon" di Marte

L'agenzia spaziale europea (Esa) ha diffuso alcune delle più spettacolari immagini del Grand Canyon marziano. Gli scatti, ottenuti grazie al potente occhio della sonda Mars Express, in orbita a 300 chilometri dalla superficie del Pianeta Rosso, mostrano il già conosciuto Hebes Chasma, un bacino situato nella parte più a nord della Valles Marineris. Questo si estende per oltre 3 mila chilometri e fa parte del sistema di canyon noto a sua volta come "Grand Canyon di Marte".
Sul Pianeta Rosso c'era abbondanza d'acqua - Secondo gli scienziati dell'Esa un tempo in quest'area ci sarebbe stata dell'acqua. Oggi è osservabile esclusivamente un bacino arido, profondo otto chilometri, senza sbocchi e con una montagna in mezzo alta circa 7.000 metri. Con uno speciale spettrometro gli esperti hanno notato comunque l'abbondante presenza di solfati idrati: gesso e kieserite.
Curiosità sulla sonda Mars Express - È stata lanciata il 2 giugno 2003 dal Cosmodromo di Baikonur in Kazakhstan usando un lanciatore Soyuz. Il nome Express deriva dal ridotto tempo necessario alla stessa per raggiungere il pianeta rosso. Infatti era da 60.000 anni che i due pianeti non erano così vicini. Il nome si riferisce anche alla rapidità ed efficienza con cui è stata progettata e costruita la sonda. La sonda è stata costruita dal consorzio Astrium con l'appoggio di altre aziende europee tra cui le italiane Alenia Spazio e Officine Galileo.

Conferme sulla storicità della Bibbia


LE RICERCHE
Conferme sulla storicità della Bibbia.
Sodoma e Gomorra dodici anni fa resuscitarono dal Mar Morto e la loro scoperta dettò ulteriori conferme sulla storicità delle Scritture. Ad affermare di aver ritrovato i resti delle due città nella penisola di El-Lisan furono due geologi canadesi, Graham Harris e Anthony Beradow. Secondo i ricercatori, l’area del ritrovamento fu sconvolta da un pauroso terremoto che fece sprofondare un tratto della penisola 4mila anni fa.
Nella genesi Sodoma e Gomorra sono nominate quasi sempre insieme e con Adma, Zeboim e Zoar formano le cinque “città della pianura”. La Bibbia le colloca all’interno di una non mai identificata valle di Siddim che si riteneva fosse localizzata a nord del Mar Morto o, addirittura, nell’area di Gerico. Le città, tranne Zoar, furono distrutte dallo zolfo e dal fuoco per punizione divina per la lussuria ed i vizi contro natura praticati dai loro abitanti. Recenti hanno accertato nella zona le tracce di un disastroso terremoto che superò in intensità i 6 gradi della scala Richter; sisma che avrebbe innescato devastanti incendi per la presenza nell’area di bitume. Un fatto che potrebbe spiegare la descrizione biblica della distruzione delle città come “opera del fuoco scagliato da Dio”. La scoperta di Harris e Beradow divenne presto una “prova archeologica a conferma della Bibbia” che si un’ a quella dell’evento biblico maggiormente documentato: il diluvio. Insomma, un’ulteriore conferma della certezza storica di eventi narrati nella Bibbia che rafforza quanto dichiarato dall’archeologo Nelson Glueck: “Si può affermare categoricamente che nessuna scoperta archeologica abbia mai contraddetto i riferimenti biblici”.
La scoperta dell’archivio di Ebla sul finire degli anni ’70 restituì ulteriori prove sul racconto biblico. Nell’antica città della Siria settentrionale, scoperta da una missione archeologica italiana nel 1964, furono portate alla luce gli archivi reali comprendenti oltre 17mila tavolette d’argilla che riportano iscrizioni risalenti al periodo compreso tra il 2500 ed il 2200 a.C. Queste tavolette oltre a confermare diversi nomi di persone e luoghi presenti nel libro del Genesi narrano anche delle cinque “città della pianura”. In particolare, in una delle tavolette dell’archivio, la numero 1860, vi sono iscritti i nomi delle città citate nella Bibbia, fra cui Sodoma e Gomorra, e nello stesso ordine. Nelle tavolette è menzionato anche il re Birsha, lo stesso re che Gomorra aveva nel tempo di Abramo. Ulteriori ricerche sulle due città ne hanno rivelato alcune tracce che comprovano sia la loro esistenza che la successiva distruzione.
M.CER.
Da “L’Arena” il giornale di Verona – 2 aprile 2008

sabato 5 aprile 2008

Decifrata la Planisphere tablet


ARCHEOLOGIA.
UNA TAVOLETTA DI TERRACOTTA DEL 700 a.C., RITROVATA A METÀ ‘800, È STATA FINALMENTE DECIFRATA

Sodoma e Gomorra “punite” da un asteroide.

Gli appunti di un astronomo sumero fanno riferimento ad un corpo celeste che è caduto nel 3123 a.C.

Per 150 anni gli scienziati hanno tentato invano di capire cosa raccontasse quel testo in scrittura cuneiforme inciso su una tavoletta di terracotta del 700 a.C..
E ora la risposta che emerge dall’antichità più remota potrebbe essere addirittura sconvolgente: in quei segni c’è la vera storia della fine di Sodoma e Gomorra, annientate da un asteroide del diametro di quasi un chilometro.
Ricercatori britannici, scrive il Times, hanno finalmente decifrato la cosiddetta “Planisphere tablet”, ritrovata a metà ‘800 da Henry Layard tra le rovine della biblioteca reale dell’antica Ninive. Si tratterebbe, dicono, della copia del 700 a.C. di appunti di un astronomo sumero che osservava il cielo la notte della catastrofe.
Egli descrive l’asteroide come “una coppa di pietra bianca” che viene illustrata mentre “avanza con forza”. Usando il computer per ricostruire come appariva il cielo migliaia di anni fa, gli studiosi hanno stabilito che questo avvistamento avvenne all’alba del 29 giugno 3123 a.C. Sulla tavoletta sono leggibili circa la metà dei simboli, e la metà di questi fanno riferimento all’asteroide. Altri descrivono la posizione di nebulose e costellazioni.
Per cinque volte, in 150 anni, gli scienziati hanno fallito l’impresa di decifrare il misterioso documento.
Il sesto tentativo è riuscito a Mark Hempsall e alla sua equipe dell’università di Bristol: “È un meraviglioso frammento di osservazione, un pezzo di scienza assolutamente perfetto”.
La traiettoria e le dimensioni dell’asteroide suggeriscono che si sia schiantato sulle alpi austriache, a Koefels, dov’è evidente un’antica frana larga 5 chilometri e profonda 500 metri. Mentre si avvicinava al terreno, avrà lasciato una scia di distruzione a causa delle onde sonore supersoniche, mentre l’impatto a terra avrà avuto un effetto cataclismico.
Frammenti del corpo celeste, anche colossali, saranno caduti lungo il suo tragitto; la scia avrà generato temperature di 400 gradi, uccidendo qualsiasi essere vivente. Un milione di chilometri quadrati di territorio, alla fine, sarebbero stati distrutti.
Hempsall, che sulla ricerca ha appena pubblicato il libro “A Sumerian Observation of the Koefels’Impact Event”, ricorda che 20 antichi miti ricordano devastazione della scala e del tipo di quelle generate dall’impatto dell’asteroide.
Tra loro l’Antico Testamento e il racconto della fine di Sodo ma e Gomorra, e il mito greco per il quale Fetente, figlio d’Elio, finì nel fiume Eridano dopo aver perso il controllo del carro di fuoco, che finì a terra con impatto devastante.
Così le Scritture raccontano quella catastrofe, nel libro della Genesi: “…quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; contemplò dall’alto Sodo ma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace”.
Anche la città di Ninive, secondo la Bibbia, avrebbe dovuto fare la stessa fine, come annunciato agli abitanti corrotti da vizi e ozio dal profeta Giona. Ma gli abitanti si pentirono e Dio ebbe pietà di loro.
Da "L'Arena" giornale di Verona del 2 Aprile 2008

venerdì 4 aprile 2008

La nascita di un nuovo pianeta in diretta

SPAZIO: L’EVENTO SI STA VERIFICANDO A 520 ANNI LUCE DALLA TERRA ED È OSSERVATO IN DIRETTA

Nella costellazione del Toro sta nascendo un nuovo pianeta

A 520 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Toro, sta nascendo un nuovo pianeta, che pur trovandosi ancora nella fase embrionale ha, più o meno, 2000 anni. La nascita viene osservata per la prima volta “in diretta”.
Lo hanno annunciato ieri astronomi scozzesi dell’University of St Andrews al congresso della Royal Astronomical Society in corso a Belfast.
Il giovanissimo pianeta, che sta emergendo dalla nube di polveri e gas ruota intorno ad una stella altrettanto giovane, HL Tau che dovrebbe avere meno di 100mila anni.
Molto probabilmente, dice Jane Graves coordinatrice della ricerca, la crescita del pianeta potrebbe essere stata innescata 1600 anni fa quando è passata vicino al sistema una stella contigua, XZ Tau, che avrebbe destabilizzato gravitazionalmente il disco protoplanetario di HL Tau, tanto da indurre un collasso di una regione del disco e la formazione di una struttura che contiene parte del materiale protoplanetario.
Il giovane pianeta, HL Tau b, è stato scoperto dagli scienziati mentre stavano studiando il disco di gas, grani e polveri intorno a HL Tau, un disco insolitamente “ricco” e brillante, tanto da far supporre che poteva ospitare piante in formazione.
Ed infatti, con grande sorpresa degli stessi scienziati è stato scoperto il pianeta ancora immerso nel materiale protoplanetario, che diventerà, secondo gli astronomi un gigante gassoso 14 volte più grande di Giove anche se molto, molto giovane.
Usando il Very Large Array (VLA) Telescope i ricercatori hanno analizzato il sistema protoplanetario a lunghezze d’onda specifiche per la ricerca di grossi grani di polveri, la cui presenza è caratteristica di materiale protoplanetario che sta cominciando ad aggregarsi per formare pianeti. Lo stesso sistema è stato studiato da ricercatori inglesi su lunghezze d’onda più lunghe, usando il radiotelescopio Merlin, Jodrell Bank, Cheshire, e le loro osservazioni hanno confermato che le emissioni rilevate dagli strumenti provenivano da materiale roccioso e non da altre fonti come gas bollente.

Da “L’Arena” il giornale di Verona
Giovedì, 03 aprile ’08